Il Cervino

Il Cervino
Cervino dalla Rothornhutte

giovedì 16 giugno 2011

I Santi di Ghiaccio

Davanti al prato di Sant’Orso, in fondo alla Valleille, le montagne si alzano imponenti, luccicanti di ghiaccio; dai profili familiari scende una brezza a scuotere la calura, attraversa l’ampia distesa di erbe dalle diverse fragranze e giunge fino a noi, intenti a respirare il profumo dei ricordi. Tutte le montagne racchiudono nel loro silenzio le parole, i sorrisi e i pensieri che le hanno attraversate, e quando si è di fronte ad una soltanto di esse, per un attimo, sembra di sentire piano sussurrare le parole e colorarsi di nuove tinte quei gesti che hanno reso indimenticabile una giornata della nostra vita.
Profumo di larici, sole ed ombra tra i rami, poi la polvere e il profumo aspro e dolce insieme di qualche erba nascosta, macchie di rododendro, magri pascoli inondati di sole, e noi che saliamo carichi al Money e di tanto in tanto leviamo lo sguardo verso l’azzurro, profondo, misterioso.
Gente coricata sui prati ci saluta, altri allegri discendono in gran fretta la ripida morena che in passato conteneva la lingua ghiacciata del Coupè de Money, poi le ultime rocce nascondono il bivacco, solitario, sospeso tra il cielo e la valle, all’apparenza irraggiungibile.
Ci lasciamo cullare dalle rocce calde e lisce intorno al bivacco, e troviamo il tempo per godere  il lento trascorrere delle ore tra un soffio di vento e le bizzarre evoluzioni di una nuvola in cielo.
Poi la luce piano piano abbandona la valle, il ghiacciaio e le vette più alte; ora soffia un vento più freddo, a tratti si sente acqua scrosciare, il torrente saltare sulle rocce e vapori in continuo movimento avvolgono creste e lasciano a tratti scoprire qualche vetta solitaria. Regna la pace nel cielo e nei cuori, e la notte dilata lo spazio, tutto è più lontano, gigantesco e selvaggio. Solo una luce dalla piccola finestra del bivacco si perde nella notte, siamo soli, eppure quella solitudine non ci pesa, allegri come siamo, felici di stare vicini alle montagne che amiamo.
Le parole si inseguono, risa allegre rompono il silenzio e la poca luce, che illumina i nostri volti, scopre nuovi profili, semplici, genuini, autentici. Poi le frasi si fanno più rade ed un salutare torpore ci invita a godere il calore di soffici coperte. Si sta in silenzio, mentre i pensieri accompagnano la mente in viaggi improbabili, le distanze non sembrano più esistere... Incontri fantastici, pareti sconosciute, montagne la cui forma è un miscuglio di altre già viste e poi, un chiarore, una luce ovattata che ipnotizza gli occhi stropicciati dal sonno… poi, un’alba senza sole, di nuvole sospese a mezz’aria che passano lente e risalgono i pendii fino a scomparire sul ghiacciaio.
Si sente odore di terra umida, rumore di rocce malferme e acqua, la stessa che sentivamo scrosciare la sera prima ed ora passa sotto i nostri piedi; sopra, la coltre grigia del ghiacciaio riflette il colore delle nuvole, e più in alto la Torre di Sant’Orso e il Dito degli Apostoli, si fondono nel grigiore metallico, tra il cielo e la neve.

Ascoltiamo suoni di lame che mordono il ghiaccio: sono i nostri ramponi alla prova sotto il Colle Paganini. La salita è ripida, uniforme, poi la sorpresa: dal colle s’innalzano in fila i Santi di ghiaccio: le Torri di Sant’Orso, di Sant’Andrea e del Gran San Pietro, ed il cielo si fa azzurro: è l’augurio di un nuovo giorno, il saluto semplice di un mondo senza false cortesie.
Ormai ci vediamo già arrampicare sulla cresta che conduce alla Torre di Sant’Andrea, su massi malfermi, stagliati contro il cielo sull’estrema via che conduce alla vetta; il desiderio è così forte che supera l’immaginazione. La roccia è lucente, ruvida e primitiva, viene da stringerla a se in uno slancio di affetto sconfinato, poi  nuvole,  sole e  cielo: quale luogo sulla terra offre un così intimo contatto con l’infinito?
Qui non siamo soli, i monti ci guardano, e immobili  ascoltano una preghiera, parole che si perdono nelle valli, risuonano sommesse in mille anfratti della roccia, risalgono in cielo. Ora, a ricordare chi non c’è più, nascosto sotto il masso più alto della vetta, il nostro biglietto riporta il nome di un amico.
Ed anche se un giorno la tempesta, il gelo o la neve cancelleranno ogni traccia di quel segno di carta, la Torre di Sant’Andrea lassù, brillando alla luce del sole, conserverà gelosa i nostri ricordi, le emozioni di quella giornata ed una preghiera così profonda che per un attimo ha unito, in una sola, le nostre voci.

Dedicato ad Antonio Sonza.

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